Ussari

Chi sono gli ussari?

Consultando qualche buona enciclopedia possiamo facilmente scoprire che  si tratta di una truppa di origine ungherese e che, secondo alcune fonti , il termine “huszard” significa il “ventesimo”. Nel XV secolo, durante le guerre contro i turchi, ogni villaggio ungherese era tenuto a fornire un abitante su venti completamente equipaggiato, armato e montato. Opposta con successo alla cavalleria ottomana, questa milizia a cavallo acquisì presto un’ ottima reputazione in tutta Europa e col passare dei secoli divenne un vero e proprio corpo di cavalleria leggera. Non furono mai destinati a combattere in ordine di battaglia, ma occuparono il ruolo di esploratori, di avanguardia, di copertura e di scorta ai convogli. Sempre legati alle loro tradizioni, gli Ussari si distinsero sempre rispetto agli altri corpi, soprattutto nell’ abbigliamento. Del tutto particolare fu la rutilante uniforme ungherese dagli influssi orientaleggianti; non meno caratteristiche furono le lunghe trecce di capelli pendenti lungo il viso, il codino dietro alla nuca e i lunghi baffi. Il leggendario Charles Lasalle divenuto generale non volle mai rinunciare alla sua uniforme da ussaro, nonostante il parere contrario di Napoleone. Famoso per la consuetudine  di caricare il nemico in testa ai suoi uomini con la pipa in mano al posto della sciabola, morì piuttosto giovane sul campo di battaglia di Wagram,(5 luglio 1809) colpito da una palla austriaca in piena fronte.

Perché si parla di Ussari a proposito del Carnevale di Ronciglione? Le spiegazioni sono diverse e come sempre c’è una leggenda di riferimento. Si narra infatti di un battaglione di ussari francesi che durante le occupazioni del 1799 avrebbe voluto rendere omaggio al carnevale ronciglionese aprendo i festeggiamenti e da allora si ripeterebbe questo rito. Sia vero o meno e in che modo sia successo lo lasciamo dire alle ricerche degli storici e degli appassionati. Ma personalmente mi chiedo cosa abbia determinato il successo degli Ussari e cosa ci sia oltre l’eventuale valore documentario, per cui da sempre il loro passaggio esercita un potere particolare.

Credo che il loro incedere ordinato e poi la galoppata riescano a squarciare il velo magico che separa la realtà dal suo contrario e apra la strada al carnascialesco mondo rovesciato. È per questo che l’attenzione filologica nella scelta dei costumi perde di importanza. Non posso fare a meno di pensare alle vecchie fotografie, un po’ ingiallite e con i bordi dentellati, in cui mio padre, memorabile capitano degli Ussari, viene ritratto, su bellissimi cavalli bianchi o morelli, con preziosi colbacchi o con mantelli svolazzanti. Così il battaglione è diventato negli anni un manipolo di moschettieri, un gruppo ordinato di messicani, una squadriglia di pseudozorro e altre varianti che non ricordo.  Ma non posso dimenticare l’emozione prima uditiva dello sbattere degli zoccoli sull’asfalto ampliata dal vociare eccitato che annuncia la galoppata e poi l’entusiasmo nel vedere la staffetta che veloce risale il corso, e di seguito il capitano che galoppa con il busto rivolto indietro a controllare le terziglie, e  in fondo, a chiudere, il serrafile.

Si tratta in realtà solo di pochi istanti, ma sono attimi intensi in cui lo spettatore è travolto da un’esplosione di energia che deflagra dalle zampe potenti dei cavalli ed è trattenuta dagli esperti cavalieri dentro le fila ordinate del drappello.

Francesca Mordacchini Alfani

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